Il nostro clima sta ricevendo molta attenzione, ma non lo consideriamo spesso come un’infrastruttura. La nostra economia è costruita su presupposti di stabilità climatica. La nostra industria immobiliare, i sistemi alimentari, la rete elettrica e, per estensione, i nostri mercati finanziari dipendono tutti dalle aspettative sul suo comportamento.
Oriana Tannenbaum e Rushad Nanavatty del Rocky Mountain Institute (RMI) hanno raccolto dati che danno un prezzo al fatto di non fare gli investimenti necessari per affrontare il cambiamento climatico. Per gli Stati Uniti, uno scenario di riscaldamento a 4,5°C (entro il 2050) costerà 5,2 trillioni di dollari. Ad una temperatura più drastica di 6°C il costo è di 17 trillioni di dollari. Queste proiezioni sono difficili da fare quando si tratta di trattare il clima come un “bene infrastrutturale”, anche se esistono metodologie collaudate per i beni tradizionali, e gli autori citano tali studi dell’American Society of Civil Engineers.
Il calcolo del clima è suddiviso in tre categorie:
- i costi diretti (perdite fisiche dovute a eventi meteorologici estremi, incendi, innalzamento del livello del mare);
- i costi indiretti (crescita più debole, valori e rendimenti degli asset più bassi, creati da un pianeta danneggiato);
- il costo dell’incertezza (il premio dell’investitore pagato per i nuovi rischi e la volatilità).
L’articolo si conclude dicendo che un investimento di 350 bilioni di dollari nel rinnovamento degli edifici creerebbe un valore netto di 1,4 trilioni di dollari entro il 2050. 476 bilioni di dollari investiti nelle reti in 20 anni risparmierebbero 2 trilioni di dollari di costi. L’investimento in punti di ricarica dei veicoli elettrici (330.000 per 4,7 bilioni di dollari) e l’imposizione di una carbon tax (50 dollari alla tonnellata e in crescita, con un costo per gli emettitori di 180 bilioni di dollari all’anno ma spesi per il resto dell’economia), creerà certamente nuovi costi, ma essi sono nulli rispetto al costo dell’inattività climatica.